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      Se si fosse allora trattato unicamente di repristinare o dilatare la disciplina del celibato anche nella chiesa milanese, e non ammettere agli ordini sacri in avvenire se non coloro che si obbligassero alla vita celibe, la questione si sarebbe potuta discutere pacificamente: ma volendosi rimovere dall'altare i sacerdoti ammogliati, ognuno vede in quale angustia venivano riposti e i sacerdoti e i parenti delle loro mogli. Il metodo migliore per conoscere lo spirito dei partiti si è l'attenerci ai fatti non contrastati, e non far caso delle declamazioni.
      Tra i fatti accordati dagli scrittori dell'uno e dell'altro partito, evvi il seguente: Arialdo, in un giorno solenne, radunò sulla piazza un buon numero di popolo, e alla testa della moltitudine entrato nella chiesa, mentre i sacerdoti celebravano i divini uffici, violentemente scacciolli tutti dal coro, e perseguitolli in tutt'i canti e rispostigli; poscia dispose un editto in cui si comandava il celibato, e costrinse gli ecclesiastici a sottoscriversi. Frattanto si saccheggiarono le case degli ecclesiastici ed alcune si diroccarono. Arnolfo così lo racconta: Die una solemni ad ecclesiam veniens [parla di Arialdo] cum turbis a foro, psallentes omnes violenter projecit a choro, insequens per angulos et diversoria; deinde providet callide scribi Pytacium de castitate servanda, neglecto canone, mundanis extortum a legibus, in quo omnes sacri ordines ambrosianae dioecesis inviti subscribunt, angariante ipso cum laicis. Interim praedones civitatis, praeter aedes aliquas in urbe dirutas, lustrabant parochiam, domos clericorum scrutantes, eorumque diripientes substantiam177. Al qual passo di Arnolfo il conte Giulini così riflette: Era per altro ben giusta cosa che quegli ecclesiastici viziosi ed ostinati i quali non volevano cangiar vita, venissero castigati anche col braccio secolare.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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