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      Guidone già da ventiquattro anni reggeva la chiesa milanese: stanco di vivere fra torbidi e pericoli continui, indebolito dagli anni, bramoso di godere il restante della vita in pace, pensò di rinunziare la dignità, prima che la violenza del partito ve lo costringesse. Trascelse Gotofredo, cardinale ordinario della chiesa ambrosiana, e a lui rinunziò l'arcivescovato. Non era questi il soggetto che piacesse a Erlembaldo. Quindi col ferro, col fuoco, colla devastazione de' campi, colle nuove scomuniche di Roma si oppose al nuovo arcivescovo Gotofredo, il quale non poté conseguire mai la possessione né della carica, né delle entrate. Guidone pensò allora a ripigliare la dimessa dignità, poiché non si voleva che Gotofredo ne fosse rivestito. Guidone credette alla fede di Erlembaldo; si collegò incautamente con lui, e venne infatti da lui accompagnato sino a Milano. Ma quivi lo tradì e lo rinchiuse in un monastero, ove lo tenne custodito219 sin che morì. Il conte Giulini paragona Guidone all'eroe del Macchiavello: io non saprei sostenere quest'opinione. Egli fu bensì tradito, ma non tradì mai: promise una fedeltà al papa, che non gli mantenne, è vero, ma in questo io ravviso piuttosto l'uomo debole, che il politico astuto. Egli cercò, per quanto gli fu possibile, di sedare il partito; di conservare la sua Chiesa come l'aveva trovata; non fece che la guerra difensiva: in somma non parmi un uomo meritevole di quella taccia. Il buon criterio del conte Giulini si conosce nella giudiziosa critica che generalmente esercita; ma conviene accordare che nell'esposizione di questi fatti egli credette che fosse pietà l'esser parziale.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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