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      Attaccammo briga coi Cremonesi, e nel 1137 c'impadronimmo del castello di Zenivolta, e femmo prigioniero il vescovo di Cremona Uberto, che era armato con l'usbergo come un Paladino, e, inanimando i suoi alla battaglia, si era spinto contro uno de' nostri, e stava terminando di ammazzarlo271. Tale era la strana condotta di una nascente Repubblica, che doveva saggiamente premunirsi contro le fondate pretensioni dell'Impero, collegandosi e rendendosi amiche le altre città. Questo errore lo vedremo poi punito da Federico, e la punizione fu meritata. Lo stato della prosperità è il più funesto di tutti per una città che diventi libera dopo di avere sofferta la servitù. Nella loro infanzia le repubbliche hanno bisogno d'essere circondate dai pericoli per obbligare i cittadini ad accostarsi fra loro, e prendere cura incessante degl'interessi comuni. Se questi manchino, non vi è più quel principio che può solo formare un sistema capace di reggere alla prosperità; vi vuole un nemico e un comune pericolo per acquistare un interesse e un sentimento comune, e così animarsi la repubblica.
      La Germania era divisa in fazioni, e l'imperatore aveva i suoi nemici, i quali vedevano volontieri che gl'Italiani non gli obbedissero. Fra questi eravi l'arcivescovo di Colonia Federico, il quale scrisse alla repubblica di Milano una lettera che comincia così: Consulibus, capitaneis, omni militiae, universoque mediolanensi populo. - Civitas Dei Inclita, conserva libertatem, ut pariter retineas nominis tui dignitatem, quia quamdiu potestatibus Ecclesiae inimicis resistere niteris, verae libertatis auctore Christo Domino adjutore perfrueris272. E in questa lettera ci avvisa come i principi della Lorena, della Sassonia, della Turingia e di tutta la Gallia (membri dell'Impero, come lo erano i Milanesi) si erano, al paro di noi, determinati di voler vivere liberi; e che tutti erano pronti a collegarsi con noi, ad assisterci; su di che aspettava il riscontro.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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