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      Il pedaggio che pagavano le mercanzie era tutto a profitto della comunità de' negozianti; i quali avevano l'obbligo di conservare le strade, ripararle e custodirle, in modo che delle mercanzie rubate sulle pubbliche strade la comunità medesima era tenuta a rifarne il danno. La tariffa si vede annessa all'antico codice de' primi statuti, compilati nel 1216, siccome ho detto, e il conto si vede fatto a quattro denari di pedaggio per ogni lira di valore della merce; il che rimonta al tenue tributo di uno e due terzi per cento sul valore. Nemmeno la mercanzia adunque contribuiva alla cassa pubblica. Alcuni che pretendevano alla signoria delle terre, obbligavano gli abitatori di quelle a ricevere da essi i pesi, le stadere e le misure423. Alcuni privati possedevano un consimile diritto in Milano medesima, e chiamavasi jus sextarii424. Ma nemmeno di questi tributi sopra i pesi e le misure colava alcuna somma nell'erario della Repubblica. V'erano anche allora i diritti esclusivi di poter tenere osteria nelle terre e di vendere vino minutatim ad modum tabernae425, come da una carta dell'archivio di Monza pubblicata dal conte Giulini426. Ma di essi non pare che fosse al possesso la comunità di Milano. Erano dritti posseduti da privati. Da ciò facilmente si comprende che pochissima rendita doveva avere la Repubblica, e quella sola che proveniva dai delitti i quali, per l'antica tradizione longobardica, erano condannati con pene pecuniarie. Ma questa rendita era insufficiente, massimamente ne' bisogni straordinari; tanto più che le terre dei banditi si abbandonavano senza cultura, con incauto consiglio, se puramente si consideri l'economia pubblica; ma non affatto senza ragione, qualora si rifletta a que' tempi burrascosi, nei quali conveniva che nessuna utilità uomo alcuno potesse ritrarre dalla rovina d'un cittadino.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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