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      Deputarono quindi quattro canonici del loro ceto, ai quali commisero di pensare a un sicuro nascondiglio, ed ivi riporlo. Fecero giurar loro un inviolabile secreto, da non rivelarsi se non in punto di morte. Poiché da essi fu eseguita la commissione, e il tesoro collocato, non si sapeva dove, il capitolo obbligò i quattro depositari del secreto a partirsene, e separatamente frattanto vivere altrove; acciocché non potesse colle minacce, e fors'anco colle torture, costringersi alcun d'essi a parlare; e in potere di que' licenziosi non rimanesse alcuno presso cui fosse il secreto. Pensare non si poteva più cautamente: eppure Monza perdette il tesoro. Uno de' quattro canonici, che aveva nome Aichino da Vercelli, stavasene in Piacenza, ove venne a morte, e palesò il secreto a frate Aicardo, arcivescovo di Milano. Da esso ne fu bentosto informato il vigilantissimo cardinale legato, Bertrando del Poggetto; il quale non perdé tempo, e incaricò Emerico, camerlingo di santa Chiesa, che trovavasi in Monza, di trasmettergli quel tesoro, siccome eseguì puntualmente; e indi fu trasportato in Avignone, dove dimorava il papa; d'onde, venti anni dopo, signoreggiando Luchino, venne restituito l'anno 1344. Io lascerò al chiarissimo signor canonico teologo don Antonio Francesco Frisi la cura di verificare se la restituzione siasi fatta senza alcuna perdita. Il valore dell'oro e delle gemme che oggidì ivi si mostrano, non giunge fors'anco a duemila fiorini d'oro. Egli, che con varie dissertazioni ha illustrate le antichità di Monza, ci renderà istrutti esattamente anche di ciò, nella dissertazione che si è proposto di pubblicare sul tesoro di quella chiesa.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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