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      Questo bambino fu poi il primo duca, e diventò un potentissimo principe, come vedremo. Alcuni giorni dopo partì il re Carlo, e s'incamminò alla vòlta di Roma. Pretende Matteo Villani che questo re non fosse stato nelle mani dei Visconti senza inquietudine. Sarebbe questa una prova della pusillanimità di quel principe, giacché non potevano sperare alcun vantaggio i Visconti né da un affronto né da un tradimento che gli facessero, allorché era abbandonato nelle loro mani.
      Prima che terminasse l'anno, il triumvirato fu tolto, e colla improvvisa morte di Matteo II lo Stato si divise in due sole parti fra Barnabò e Galeazzo II. Matteo II aveva molto vigor fisico e poca forza di mente. Dopo ch'egli ebbe in sua porzione Bologna, la perdette, per aver cercato di scemare lo stipendio a quei che potevano soli conservargliela. Matteo operava in modo da perdere la signoria, e trascinar seco in rovina anco i fratelli; poiché, diventato padrone, cercava di possedere per autorità e senza mistero quello che tutt'al più si carpisce industriosamente fra le tenebre. Egli giunse a minacciar la morte ad un cittadino ammogliato con una bellissima donna, perché contrastava di cedergli i suoi diritti. Questi presentossi a Barnabò chiedendo giustizia, e dichiarandosi con molto impeto di esser pronto a morire, anzi che acconsentire a tanta infamia. Barnabò lo accolse con freddezza ed indifferenza; poiché trattandosi del suo maggior fratello, a lui, disse, non toccava il correggerlo: poi concertato l'affare con Galeazzo II, vedendo che Matteo era incorreggibile nella scostumatezza, che già serpeggiavano nel popolo delle sorde e tronche voci, e che correvasi rischio, temporeggiando e lasciando moltiplicare gl'insulti, di vedere lo Stato in rivoluzione, per evitare il fatto de' Tarquini, divennero fratricidi come Romolo; almeno così ci racconta Matteo Villani554. Si dice altresì che a questo timore un altro vi si accoppiasse per unire e indurre a tale estrema risoluzione i due cadetti Barnabò e Galeazzo, e fu che, trovandosi i tre fratelli insieme cavalcando, nell'osservare il fecondo e ridente paese del quale erano signori, uno de' cadetti dicesse, che era pure la bella cosa l'esservi sovrani; e che incautamente allora al primogenito fuggisse di bocca, che bella cosa era l'esser solo; la quale risposta (non essendovi stato prima d'allora altro esempio di signoria promiscua veramente, meno poi di signoria divisa) doveva dar molto da temere ai due principi minori.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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