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      - Villano: Signore, basta che mi lasciate partire vivo e sano. - Barnabò: Questo lo accordo; chiedi qualche altra grazia. - Villano: Se mi faceste restituire il mio piccolo podere toltomi dal castellano... subito facegli dare lettere colle quali il villano riebbe il suo, e tranquillamente se ne ritornò allo stato di prima. L'Azario, che allora viveva e che ci ha tramandata la memoria di questa scena, non ci riferisce chi fosse il governatore di Lodi che era succeduto a Bruzio Visconti. Questo avvenimento ha tanto verosimiglianza, che lo credo veramente accaduto; e Barnabò avendolo subito raccontato ai suoi cortigiani, è naturale che venisse poi divulgato come una novella di quel tempo. Non avranno trascurato alcuni d'interrogarne il villano medesimo, e così potrà essersi ancora più esattamente risaputo. Il carattere di Barnabò mi pare che vi sia dipinto al vivo. Non permetteva egli che si commettessero vessazioni ed ingiustizie; amava la sicurezza e l'ordine, manteneva la parola data. Ma un buon principe non avrebbe impresso nel cuore dei sudditi uno spavento generale, a segno che, per qualche incauta parola, temessero d'essere condannati alla carnificina, da lui medesimo, nel di lui palazzo. Nessun principe oggidì avrebbe piacere di far soffrire a quel meschino la barbara incertezza che lo tormentò per tante ore; e la prima parola gli annunzierebbe ilarità e pace. Poi lo sborso di un grosso, ossia il solo valore di dodici pagnotte, oggidì sembrerebbe affatto indecente. Il povero villano aveva dovuto lasciare la moglie ed i figli con poco pane; stanco e mal pasciuto, aveva camminato per ricondurre il sovrano senza sapere ch'ei fosse altro che un uomo; meritava adunque qualche cosa di più d'un grosso.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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