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      Questo colpo, eseguito con tanto vigore, e preparato colla più cupa e simulata ipocrisia, conveniva in qualche modo farlo comparire onesto e suggerito dall'assoluta necessità; e a tal fine ordinò il conte che si formassero i processi contro di Barnabò. L'autore degli Annali Milanesi ce ne ha trasmesso l'epilogo. Le atrocità che ivi si leggono imputate a Barnabò, sono enormi; e dopo una sanguinosa enumerazione di esse, vedesi incolpato Barnabò d'avere tese insidie alla vita del nipote; d'essere uno stregone, che colle fattucchierie, avesse rese sterili le nozze del conte di Virtù; e che finalmente Gian Galeazzo fosse stato costretto a far prigionieri lo zio ed i cognati, perché essi l'avevano in quel momento assalito a tradimento. Non saprei se sotto il governo di uomini di quell'indole vi fosse nelle magistrature un uomo virtuoso; ma se pur vi era, quello certamente non sarà stato trascelto per formare il processo. Barnabò era uomo feroce, violento, coraggioso, franco, ma non dissimulato, né capace di tradire o di insidiare. Egli era nemico di ogni arte e di ogni scienza, crudele, sanguinario, d'una religione inconseguente, poiché, insultando il papa, oltreggiando i vescovi, calpestando gli ecclesiastici, donava ai conventi generosamente i beni che rapacemente confiscava ai cittadini. Ma il conte era suo nipote; il conte era suo genero; giaceva le notti colla sua moglie Catterina Visconti, nel tempo in cui ordiva di togliere la sovranità alla di lei famiglia, mentre teneva prigione suo padre, lasciava errare raminghi e bisognosi i di lei fratelli, che pure avevano tanta ragione per succedere nella signoria di Barnabò, quanta ne aveva il conte per essere succeduto nella signoria a Galeazzo.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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