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      Risolva da sé il sovrano, ma negli affari ascolti prima l'opinione de' suoi consiglieri; così non accaderà una inconsiderata risoluzione. Meglio è perdonare che distruggere. I tributi s'impongano per vero bisogno, si ripartano con giustizia, si percepiscano con economia, e i cortigiani dieno l'esempio agli altri col pagarli. Non s'intraprendano guerre senza necessità. Non largheggi il principe nel donare superfluamente. Sia inviolabile nel mantenere la parola data, e imparziale per la giustizia. Le cariche si dieno al merito, non mai al prezzo. Nella scelta de' ministri si esamini di quale riputazione godano, e se la vita loro sia proba; chi non è buon marito, buon padre, buon padrone in sua casa, non sarà mai buon consigliere del sovrano. Agli stipendiati si corrisponda fedelmente la paga. Le antiche leggi patrie sieno venerate ed obbedite. Ai ribelli riconciliati si tenga d'occhio, ai pertinaci si tolga il potere. Questo è il transunto di tale memoria. S'ella fu destinata da Carlo Malatesta per illuminare il duca, non vi fu mai carta più inutile di questa. Se poi egli aveva null'altro in veduta che di lasciare una pubblica disapprovazione della condotta del nipote, non poteva scrivere meglio di così; perché indicò appunto tutte le massime dalle quali si allontanava quel principe. Andrea Biglia, nel libro secondo della sua storia, ci descrive la barbarie di Giovanni Maria. Genus illud nefandae necis quae canibus urgebatur, adversum plures intendit, tam ferme sanguinis sitiens, ut nullum fere diem per id tempus incruentum sineret621. (1409) Il Corio racconta che molti inermi popolari avendo gridato pace, pace mentre il duca passava avanti della chiesa di Santo Stefano, ad istigazione di due perfidi suoi famigliari ordinò quel principe alle sue guardie di scagliarsi colle armi in quella misera ed inerme compagnia, il che fu eseguito; e di quegl'infelici oltra a ducento ne occiseno: ed inde fece proclamare, che sotto pena de la forcha veruno più non nominasse pace né guerra: anchora ordinò che gli sacerdoti ne la missa, in loco de pacem, dicessino tranquillitatem.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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