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      Appena era partito il conte, che il duca stese la mano confiscatrice su tutti i poderi suoi, e si riprese tutt'i doni che gli aveva fatti. Tese varie insidie per averlo prigione; ma non gli riuscirono. Tentò il veleno, e certo Giovanni Liprandi, milanese, che aveva per moglie una Visconti, provossi a Treviso di avvelenare il conte: il che verificato, perdé poi la testa a Venezia. A tali infami azioni s'abbassava il duca per consiglio di Zanino Riccio, e d'altri vigliacchi ed astrologi, pari a lui, mentre in vece con qualche onesto partito nulla sarebbe riuscito più facile che l'accomodarsi col Carmagnola, già affezionatissimo nel suo cuore al Visconti, siccome accade sempre di esserlo, quando si sono fatti insigni benefici, pe' quali amiamo il beneficato come cosa nostra. Il conte, pagato con tanta ingratitudine, insidiato in così bassa ed atroce maniera, conobbe non rimanergli più altro partito che l'operare da nemico. Egli adunque consigliò ai Veneziani di legarsi co' Fiorentini. Temevano i primi di perdere Verona e Vicenza, occupate recentemente sotto l'infame governo dell'ultimo duca. I Fiorentini vedevano già nuovamente inoltrata nella Romagna quella sovranità de' Visconti, che ventiquattro anni prima aveva esposto all'estremo pericolo la loro repubblica; quindi si unirono co' Veneziani. (1426) Il re Alfonso di Napoli si unì alle due repubbliche; ed il conte Francesco Carmagnola, l'anno 1426, ricevette solennemente dalle mani del doge di Venezia lo stendardo di San Marco, e venne dalla repubblica dichiarato capitano generale dell'armata terrestre, coll'assegnamento, cospicuo per que' tempi, di dodicimila annui fiorini, ossia ducati d'oro.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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