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      Ma il conte aveva già presa palesemente la sua determinazione; e, senza mistero, espose ad essi le ragioni ch'egli asseriva competere e a Bianca Maria, di lui moglie, e a se medesimo e a' figli suoi, per la successione nel dominio di Filippo Maria, suo suocero: sé essere determinato a farle valere ad ogni costo. Che se i Milanesi, deposta la chimerica pretensione d'erigersi in repubblica, di buon grado riconoscevano lui per sovrano, egli avrebbe avuta cura della salvezza e felicità di ciascuno; che se, all'incontro, si fossero ostinati a sostenere una illusione di libertà, che, in sostanza, era una rovinosa oligarchia, doveano attribuire a loro stessi i mali che avrebbero sofferti, obbligandolo, suo malgrado, ad usare contro di essi la forza. Furono con tal risposta congedati i legati Giacomo Cusano, Giorgio Lampugnano e Pietro Cotta; e, mentre con tristezza s'incamminavano a recare questo poco favorevole riscontro alla loro patria, vennero dileggiati non solo, ma insultati e svaligiati dalla licenza militare di alcuni soldati sforzeschi. Intese ciò con isdegno il conte, e, prontamente rintracciati i malvagi soldati, convinti del delitto, immantinente furono impiccati; la roba al momento venne spedita ai legati, a' quali di più aggiunse il conte altri regali, per riparare quanto poteva il danno sofferto da essi. La nobile generosità del conte Francesco sorprese i legati.
      I Veneziani spedirono le loro truppe a servire come ausiliarie al conte. La repubblica fiorentina inviogli i suoi legati, promettendogli amicizia.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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