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      Ciò inteso, Galeazzo quasi più non voleva riveder Milano; pure vi s'incamminò, e mentre da Abbiategrasso cavalcava verso la città, tre corvi lentamente passarongli sul capo gracchiando, il che cagionogli tanto ribrezzo, che, poste le mani sull'arcione, rimase fermo; poi volle superarsi, e proseguendo venne a Milano. Così allora si pensava; e tali pusillanimità cadevano anche in uomini di coraggio militare, come era il duca. Conciossiaché l'uomo ardisce di affrontare un pericolo conosciuto, e cimentarsi contro altri uomini; ma contro potenze invisibili ed invulnerabili il sentimento delle proprie forze lo abbandona. Ai soli progressi della ragione siamo debitori noi viventi della superiorità nostra. Per lei siamo liberati da una inesauribile sorgente d'inquietudini; per lei finalmente sappiamo che la nebbia impenetrabile entro cui sta celato il nostro avvenire, è un benefizio della Divinità; e sappiamo per lei che la sommissione rispettosa ai decreti della provvidenza è il più saggio ed utile sentimento dell'uomo.
      La vigilia di Natale, verso sera, il duca, secondo l'usanza, scese nella gran sala inferiore del castello, dove stava d'alloggio; ed a suono di trombe e con istupendissimo apparato vi scese colla duchessa Bona e co' suoi figli. I due fratelli del duca, Filippo ed Ottaviano, portarono il così detto zocco, e lo collocarono sul fuoco. Gli altri tre fratelli del duca erano assenti. Ascanio, in Roma; e Lodovico e Sforza, duca di Bari, erano rilegati da Galeazzo nella Francia.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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