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      Il Bastardo di Savoia, gran maestro di Francia, vi morì. Il maresciallo di Foix, col braccio fracassato e mortalmente ferito, galoppava furiosamente per rinvenire l'ammiraglio Bonivet, al quale attribuiva il disastro, per traforarlo col braccio che gli rimaneva, e morire contento d'aver vendicato la Francia; ma perdette tanto sangue, che cadde, e fu portato a Pavia, dove morì nella casa della contessa di Scaldasole. Bonivet, vedendo perduta ogni speranza, si scagliò quasi inerme fra i Lanschinetti del duca di Borbone, e si fece uccidere. Il duca di Borbone bramava di far prigioniere Bonivet, e vedendolo steso morto esclamò: Ah misero, tu sei cagione della rovina della Francia e della mia!
      Il re, tenuto sempre di vista onde farlo prigione, rimase solo in faccia de' nemici, avendo un parapetto di morti avanti di sé. Raggiunto in un prato paludoso da un colpo di fucile, gli cadde finalmente sotto il cavallo. Egli aveva due ferite in una gamba. Caduto che fu, venne attorniato da un nembo di soldati; Tedeschi e Spagnuoli se lo disputavano. Il re, ferito come era anche in fronte, combattendo a piedi, si difendeva colla mazza di ferro. Per buona sorte sopragiunse il Lannoy, al quale egli si arrese prigioniero; e fu opportuno il di lui arrivo, poiché altrimenti correva pericolo il re di essere fatto in pezzi, tanta era la voglia che ciascuno aveva di possedere un tal prigioniero. Due cavalieri spagnuoli, Giacomo ossia Diego d'Avila e Giovanni Urbieta Biscaino, conosciuto chi egli era, lo aiutarono a salire a cavallo; ma il d'Avila gli tolse la spada, e l'Urbieta la collana del toson d'oro881. Il re rimase spogliato di quanto aveva di prezioso.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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