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      In questo mentre si ammalò il marchese in Novara, e chiamò a sé il Morone, nella persona del quale si può dire che consistesse l'importanza di ogni cosa900. Il Morone, che se ne diffidava, e di cui aveva detto al Guicciardini non essere uomo in Italia né di maggiore malignità né di minor fede del marchese di Pescara, volle un salvo condotto da lui; il quale poiché ebbe ottenuto, in compagnia di Antonio da Leyva cavalcò a Novara il giorno 14 di ottobre 1525. Visitato che ebbe il marchese e congedatosi da lui, mentre il Morone salutava il Leyva nell'anticamera per andarsene, questi gli disse: venite a casa con noi; il Morone ringraziò dell'invito; il Leyva ripigliò: voi ci verrete, essendo prigioniero dell'imperatore901. In tutto questo fatto il Pescara si disonorò. Egli adoperò l'industria d'uno sbirro, anziché mostrare l'animo nobile e franco d'un illustre capitano. Proposizioni di cotal fatta o non si dà luogo a farle, o, fatte, si accettano, o, dispiacendo, la lealtà vuole che diasi avviso di abbandonare il progetto, o di doverlo altrimenti palesare. Carlo V non ebbe torto diffidando del Pescara. Chi è capace di servire da sbirro, è capace di mancar di fede902. Il marchese di Pescara morì poi il 3 dicembre di quell'anno, di morte sospetta903. Il duca Francesco Sforza spedì a Novara il senatore Jacopo Filippo Sacco per ottenere la libertà del suo gran cancelliere, ch'egli dichiarava innocente verso l'imperatore; ma il Pescara fieramente rispose, che Morone era reo, e che reo era non meno Francesco Sforza.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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