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      Datosi principio agli esami, nei quali, per via di tormenti, si venne in chiaro di ogni disegno de' congiurati904; e poscia da Novara tradotto il Morone a Pavia, quivi in presenza del Pescara e del Leyva furono compiti i processi; la risultanza de' quali fu che il Morone fosse condannato a perdere la testa. Nelle memorie manoscritte del Moroni trovasi l'apologia ch'ei fece di sé medesimo colla data del 25 di ottobre, undici giorni dopo la sua carcerazione. Mostra dapprima che, non essendo egli né vassallo né suddito all'imperatore, ma bensì del duca di Milano, non poteva riconoscere nel Pescara e nel Leyva veruna legittima giurisdizione sopra di sé. Poi, ricordando d'essere suddito non solo, ma gran cancelliere del duca, dichiara che senza una perfidia manifesta e una infame violazione de' suoi doveri, ei non poteva svelare i segreti del suo naturale sovrano. In seguito espone un prospetto della vita propria e della condizione presente degli affari pubblici; e con tanta energia, con tanta evidenza si difese, che, giunto a morte il marchese di Pescara, ordinò nel testamento all'erede marchese del Vasto di supplicare Carlo V per la liberazione del Morone. Ma il tardo buon volere del Pescara poco avrebbe giovato a scampare il Morone dalla morte, se non fosse venuto in pensiero al duca di Borbone, tornato di recente in Italia, di mettere a prezzo il di lui riscatto; onde gli offerse la libertà mediante il pagamento di ventimila ducati. L'irregolarità del giudizio e l'improvvisa proposta fecero credere al Morone che tutto fosse una finzione, ma sentendo che erasi già eretto il palco per la esecuzione della capitale sentenza, pagò, e fu liberato dal carcere.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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