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      Tutte le altre fortezze erano rimesse nelle mani di Francesco Sforza, perché i Veneziani e gli altri collegati non avrebbero tollerato che rimanessero in potere de' Francesi. Lautrec pose l'assedio a Pavia. Il conte Lodovico Barbiano di Belgioioso la difendeva con diecisette bandiere d'Italiani, ma non complete, e tutti non formavano più di mille combattenti. Lautrec batteva la parte più forte, cioè il castello, affine di prendere tutto in un sol colpo. I cittadini pavesi odiavano i Francesi, e combattevano come soldati. Respinsero tre assalti con gloria, e nove insegne tolsero ai nemici. Il conte Lodovico ne rese informato il comandante supremo don Antonio Leyva, che governava Milano, e quello gli mandò a dire, che avendo fine a quell'ora riportato tanto onore e gloria contra i nemici, gli pareva ben fatto, e così lo consigliava, anzi gli comandava, per aver lui pochissima gente in aiuto della difensione di essa città, che vedesse col miglior modo che avesse saputo ritrovare, di lasciare la città in preda ai nemici, uscendone lui con la sua gente a salvamento; suadendoli ancor questo per il meglio con questa ragione, che, saccheggiando i nemici la città di Pavia, si sarebbero poi la maggior parte di loro dispersi con li bottini fatti in essa città, andando alle loro patrie ricchi, laonde non si sarebbero poi fatto stima di ritornar più al soldo de' Francesi, di modo che esso Lotrecco, ritrovandosi poi per detta causa con niuno ovver pochissimo esercito, sarebbe stato sforzato a lasciar l'impresa di gire a Napoli, come aveva supposto, la qual era di più importanza e di maggior danno che la perdita d'essa città. Avendo dunque avuto detto conte Barbiano detto avviso, anzi comandamento espresso, subito ricercò di avere e così ottenne da' Francesi salvo condotto931. S'impadronirono pertanto i Francesi di Pavia il giorno 5 di ottobre del 1527; e a pretesto di espiar essi la precedente disfatta e la presa del loro re, la città fu crudelmente posta a sacco, e poco mancò che non rimanesse affatto distrutta.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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