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      Nel corso di quasi settant'anni, su cui versa questo capitolo, i buoni governatori furon rari, e per maggiore sventura del paese sono quelli che vi fecero più breve dimora. I danni del Milanese crebbero per le guerre che ripetutamente si suscitarono in questo intervallo nella Valtellina e nel Piemonte, tanto per i campeggiamenti e le rapine degli eserciti, quanto per doverli provvedere di viveri e di soldo, giacché se anche ne' migliori tempi di Carlo V e di Filippo II ben poco danaro era qui spedito dalla Spagna, a quest'epoca non poteva aspettarsene sussidio veruno; non bastando neppure le scarse rendite di quell'indolente e degenerata nazione a saziare l'avarizia de' favoriti e de' cortigiani. Tali poi furono gli effetti di più di un secolo di cattivo governo straniero, dell'agricoltura in più luoghi abbandonata, della scoraggiata industria, della sofferta fame e di due pestilenze sterminatrici, che rese esauste tutte le sorgenti della pubblica prosperità: la popolazione per la penuria del vivere non poté riprodursi; e Milano che da lungo tempo e per tutto il secolo decimoquinto fu ricca, florida e popolosa di oltre trecento mila abitanti, nel decimosettimo non giungeva a centomila, e in questo limite se ne stette quasi stazionaria, mentre l'indistruggibile fertilità del suolo impedì all'ignoranza e al mal volere degli uomini di farla maggiormente retrocedere.
      (1632) Il vacante arcivescovato di Milano fu, il 28 novembre del 1632, conferito dal papa Urbano VIII al patrizio milanese Cesare Monti, già insignito della dignità di patriarca d'Antiochia e nunzio apostolico nella Spagna, e nell'anno seguente fatto cardinale.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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