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      Dat. Mediolani, die sexto decimo aprilis MCCCCXLVII. Sign. Ambrosius. Il citato registro A, foglio 51, tergo.
     
      (I capitani e i difensori della libertà dell'illustre ed eccelsa città di Milano. - Veduta la richiesta dei barbieri di quest'inclita città, perché sia confermato certo loro statuto ed ordine; la quale petizione è del tenore seguente: Magnifici ed eccelsi signori di quest'inclita città; i barbieri, tanto guidati dalla retta coscienza, quanto ammoniti principalmente dai religiosi confessori e consultori delle loro anime, deliberarono di celebrare i giorni festivi, e di astenersi dalle opere nei tempi illeciti, proponendo, con licenza e consenso della vostra magnificenza, l'ordine stabilito e l'editto, che è dell'infrascritto tenore. Riverentemente adunque supplicano che ad esso, siccome salutifero e commendevole, come sembra, vi degniate d'interporre l'autorità vostra, e di confermare, convalidare e comandare che osservato sia e messo ad esecuzione, con lettere patenti questo statuto, e la relativa ordinazione, comandando altresì a qualunque giusdicente e agli ufficiali di Milano, ai quali in appresso si ricorresse, che a qualunque richiesta dell'abate del Paratico dei detti barbieri intorno all'osservanza ed all'esecuzione di quello statuto, prestino qualunque giovamento, aiuto e favore opportuno. Così adunque stabilirono ed ordinarono che lecito non sia ad alcun maestro della detta arte, abitante nella città o nei sobborghi di Milano, lavorare né far lavorare di quell'arte, né nella bottega o nella casa di sua abitazione, né al di fuori, in alcun giorno festivo, ordinato da celebrarsi dalle istituzioni della Santa Madre Chiesa, tanto Romana, quanto Ambrosiana, e né pure nelle vigilie di quelle feste, qualora le vigilie trovinsi stabilite, nei giorni di sabbato dopo l'ora vigesimaquarta di quella vigilia o del sabbato, sotto pena di lire due delle nuovissime (il testo dice nuperiorum, ma forse dee leggersi imperialium), per ciascuna volta in cui si contrafacesse, e nella pena medesima incorra qualunque domestico o lavoratore della detta arte, il quale, senza licenza e contra la volontà del suo maestro, lavorasse in contravvenzione a questo statuto, e che tale domestico o lavoratore della detta arte, non debba né possa in alcun modo esercitare la detta arte nella città stessa e nei sobborghi, se prima non avrà pagata la stessa multa, ed avanti quel pagamento non debba alcun maestro della stessa arte accordargli alcun aiuto, né alcun favore sotto la medesima pena; se però avvenisse che alle ore ventiquattro del detto sabbato o di una vigilia come sopra, alcun maestro o lavoratore avesse tra le mani alcuno già ricevuto nella bottega avanti quell'ora, in quel caso possa proseguire sopra quell'individuo che avesse da prima ricevuto impunemente l'opera sua, e finirla senza incorrere in alcuna pena; e di tutte quelle pene la metà si applichi alla fabbrica della chiesa maggiore di Milano, e dell'altra metà due parti se ne dieno al Paratico degli stessi barbieri, e l'altra terza parte all'accusatore che denunziata avesse la contravvenzione.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
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