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      Quelli che sono poi in egual rango e carattere fra di loro, devono avere la stessa attività e assiduità negli affari, e lavorare insieme d'accordo, senza puntigli di preminenze o d'etichette. Devono trattare frequentemente e convenire fra di loro, e uno instruire l'altro, senza lamentarsi l'uno dell'altro; anzi dimenticarsi di tutto per far avanzare l'affare di cui si tratta. Essi devono scambievolmente perdonarsi le loro debolezze, compatirsi a vicenda, trattarsi da amici e da fratelli, e tutti tendere di conserva al medesimo scopo.
      11° L'amor proprio non deve accecare nissuna persona addetta al servizio dello Stato, in guisa che uno abbia vergogna d'imparare qualche cosa dall'altro, sia suo pari o suo inferiore. La buona riuscita che farà taluno nelle sue operazioni deve far tanto piacere agli altri compagni e confratelli, quanto a lui per aver contribuito alla meta principale, cioè al miglior servizio dello Stato.
      12° La spedizione degli ordini, le domande, ed i rapporti che occorreranno da farsi fra i rispettivi uffici, e le risposte non devono essere riservate materialmente, come sin'ora, per i soli giorni di consiglio, tanto più se si tratta di casi d'importanza; ma quello stimolo che spinge ognuno a fare il suo dovere, deve animarlo ogni giorno senza perdita di tempo.
      13° Essendo un punto essenzialissimo che gli ordini vengano bene intesi e bene eseguiti, e che gl'individui vengano ben conosciuti, giudicati, e impiegati secondo la loro maggiore o minore capacità, perciò ogni anno, od ogni volta che vi sia sospetto non esservi in qualche provincia il buon ordine, o che vi si operi lentamente o contra il fine proposto, è indispensabile che il signor presidente stesso o un commissario, mandato sul luogo provinciale o al generale comando, esamini le circostanza, provi gli ufficiali impiegati, ascolti ognuno, tolga i disordini, ammonisca tutti, e mi annunzi le risultanti difficoltà d'importanza, e si dimettano dall'impiego que' soggetti che saranno ritrovati incapaci.


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Storia di Milano
di Pietro Verri
pagine 1182

   





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