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      Al quale io dissi che mi persuadevo che la signoria di messere Giovanni e de' figliuoli fussi molto più aspra e dura che quella del Legato. Lui rispose che era vero che in Bologna, [4r] in quel tempo, non era sicura la roba, non moglie, non figliuoli, non la vita di quelli che erono inimici di messer Giovanni; ma, con tutto questo, che lui voleva mantenere la città e che quelli che erano amici suoi potevono sperare bene; ma che al presente nessuno vi era contento, perché il Legato non pensava se non a rubare ciascuno e, con ogni industria, guastare e dissipare la città, come quello che non si confidava poterla tenere insino non l'avea ridotta a niente.
     
      Confortà'lo con quelle ragione mi occorsono, et all'osteria tornato, mi riposai. E la mattina sequente mi fermai a desinare al Sasso, distante a Bologna miglia otto, in sul fiume del Reno. Intorno a questo luogo sono molti palazzi di gentiluomini bolognesi, e' quali allora, rispetto alla peste, avevono quivi le loro famiglie. Desinai e di poi, per non dormire, mi messi a sedere avanti la porta dell'osteria. Et a caso vi capitò un frate dell'ordine di Camaldoli, che stava vicino al borgo in una piccola chiesa. Et entrando in ragionamento seco, gli domandai di chi fussi un palazzo molto bello in aspetto, quivi vicino. Disse quello essere d'un dottore, chiamato messer Lodovico Bolognini: "Il quale di legge [4v] forse qualcosa intende, ma d'ogni altra cosa niente. Ha una bella donna che la tolse che era già vecchio d'anni sessantacinque e lei ne aveva diciotto; et è qui a questo palazzo.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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