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      L'Antonia, la mattina sequente, preso un poco del veneno in una scatoletta, con la figlia a casa la Simona ne anḍ, et il veneno gli dette. Il quale non prima ebbe avuto che in cucina [11r] corse, et in su certe vivande una parte ne messe, le quali ordiṇ fussino poste avanti alle forestiere per onorarle. E fu ś potente il veneno che la figlia del medico, avanti avessi finito di desinare, a tavola moŕ. L'Antonia, del caso avveduta e conoscendosi presso alla morte, di casa s'usć et, appresentatasi al potestà, il caso per ordine gli narṛ, et avanti a lui si moŕ. Il potestà, fatta pigliare la Simona, il tutto da lei inteso, al fuoco la condenṇ, et iermattina se ne fece l'essecuzione".
     
      Parvemi il caso orrendo e, ringraziato il signore dell'onore m'aveva fatto et offertomeli, all'osteria a dormire me ne tornai. E la mattina seguitai il mio cammino e mi posai a desinare a Revero, villetta posta in Mantovano in su la riva del Po a rincontro d'Ostia. Trovai nell'osteria, dove alloggiai, uno canonico da Trento che andava a Roma per espedire certe sue bolle; e con lui di più cose, ancora che non molto esperto fussi, ragionai; et insieme mangiammo.
      Dopo il mangiare, comparse l'oste, uomo di buona presenzia e di molte parole, e disse che nella villa erano de' gentiluomini mantovani e che era loro costume ridursi pel caldo a sollazzarsi in quella osteria con carte o dadi. Io li risposi che non sapevo giucare, [11v] ma che starei a vedere volentieri. Il canonico disse che ce li facessi venire.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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