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      Guardà'la di fuori il più possetti e, così guardando, a Ossolengo mi condussi, castello in su l'Adice, distante a Verona miglia sei.
      Smontato all'osteria et alquanto rinfrescatomi, perché era assai buona ora, davanti alla porta d'essa mi posi a sedere che era in sulla piazza del Castello. Quivi era uno in su una banca che s'avea congregato un gran cerchio tra uomini e donne, e diceva andare al beato Simone a Trento per voto, e che per sua grazia era scampato in Bologna dalle forche, alle quale quattro dì avanti era suto appiccato, e che il capestro s'era rotto e lui scappato, e la causa diceva perché era servitore d'un gentiluomo bolognese, sospetto a il legato. Io che ero passato a canto a Bologna di tre dì avanti e nulla di tal caso avevo sentito, stavo ammirato e massime perché lui, da poveri uomini, ragunò una buona somma di danari. E quando ebbe colto l'agresto a suo modo, smontò della banca e ne venne all'osteria per fare un buono pasto. E perché quivi non erano altri forastieri che lui et io, lo domandai come aveva carpiti danari. [18r] E così, tirando l'una parola l'altra, lui domandò me donde venivo. E come intese ero passato presso a Bologna mi disse:
      Uomo da bene, io ho quaranta anni e sono da Pescara nel Reame; e sono vissuto con questi modi anni venti; e non fui impiccato a Bologna ancor che forse lo meritassi. Ma che bisogna parlare? Io non ho altra arte: con questa vivo, e vivo bene, che voglio sempre le miglior cose truovo in sull'osterie, e questa sera spenderò almanco dua marcelli.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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