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      Il vino era buono, et i cibi non erono tristi. Ma non avevo ancora mezzo cenato, che il tavolato ruinò e tutti noi che in su quello ci trovammo. Né io né alcuno delli miei sentimmo nocumento alcuno, perché cademmo avanti la stalla, dove era il letame alto un braccio. L'oste, non so come, si ruppe la gamba, credo per esser grasso e vecchio, in modo che, la notte, poco si poté dormire ché del continuo si senti romore per casa che faceva lui e quelli che lo medicavono.
      La mattina cavalcai, trovando sempre paese guasto da' Svizzeri, e mi posai a una villetta detta Crust. E fu' forzato, per non trovare altro, stare in una osteria tutta fracassata che aveva solo rassettata e fatto quasi di nuovo la stalla: il resto era come essere allo scoperto. Eravi una ostessa di forse anni cinquanta, ma piacevole et allegra, e, secondo il luogo, ci trattò bene. Dopo mangiare lei faceva una gran gargagliata con uno tedesco avevo meco. Volli intendere quello diceva. Lui mi disse che, per la guerra fatta in quel paese da' Svizzeri, lei aveva marito e tre figliuoli e' quali, quando e' Svizzeri arrivorno qui, erono malati di peste in modo non si potettono né aiutare né partire e da loro furono morti, e la casa messa a sacco et in parte arsa. Ella, [30v] veduto questo e considerando che li nimici dovevono stare qui qualche giorno, deliberò, se bene dovessi morire, vendicare tanta iniuria. E, per potere mettere ad effetto tal pensiero, finse esser matta e cantava e saltava e rideva e faceva cose tutte contrarie a una afflizione nella quale si doveva trovare.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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