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      Era l'anno 1478 nel quale, come ogni uomo può sapere, fu nella città nostra grande novità per la morte di Giuliano de' Medici e ferite di Lorenzo; di che seguì la morte di quegli l'assaltorono e rebellione e confini. Lui in quel tempo, come io dissi, a Volterra, quella città dubbia e sospetta molto bene ritenne in fede, dipoi, finito l'uficio, a Firenze tornò.
      Nel qual tempo e dal Pontefice e dal re Ferrando fu mossa alla città nostra grande e pericolosa guerra, e la città, avendosi a difendere, e soldati assai condusse e creò Dieci di Guerra, come in simili tempi è consueto fare; e' quali in loro proveditore Piero elessono, et a quello in gran parte la cura della guerra commessono; et, ancora che uomini eccellenti e gravi et esperti per commissari mandassino, nientedimeno lui sempre ne' campi tennono; lui a Faenza a tenere quel signore in fede mandorno; lui, mentre in quello di Siena, che f là si pigliavano, mentre le nostre si difendevono a ogni pericolo sempre s'espose. Et essendoci mossa la guerra dalla parte di Siena, dove lui aveva la possesione e beni assai et olii e bestiami, quasi ogni cosa si perdé, in modo che poco altro gli rimase che la possesione; nientedimeno, preponendo sempre il publico al privato, ogni cosa con tanta diligenzia e celerità essequiva che essi Dieci maraviglia n'avevono.
      Era in quel tempo e nella città e ne' campi la peste grandissima, e lui in mezzo a quegli viveva come se fussi in aria salubre e tra uomini sanissimi. Acquistò in quel tempo et a presso amici et inimici tanta fama che avendo l'essercito inimico rotto i nostri al Poggio Imperiale, e la rotta era a punto succeduta in tempo che e' Signori Dieci l'avevono per qualche bisogno chiamato in Firenze, fu certo l'eccellenzia d'Alfonso duca di Calavria e capitano dell'essercito inimico avere dopo la vittoria esclamato: "L'assenzia di Piero Vittori ci ha fatto vincitori". Le lettere ancora, scrittegli e d'Alfonso [2v] duca e da Federigo, duca d'Urbino governatore del campo inimico, questo medesimo dimonstrano, delle quali io qui la copia non pongo per non essere lungo più che il bisogno.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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