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      Io, che non ero atto all'armi né avevo in casa altri che un servitore tedesco, uomo di pace, mi stavo in su la mia porta, ché avevo una casetta in Campo di Fiore. E, per non avere possuto mandar fuora la roba, avevo in certo secreto riposto le scritture e panni e drappi per ducati duomila e ducati mille di contanti e cinquecento tra argenti e altre masserizie migliori, et avevo pure lasciato fornita la casa ordinariamente. Né ti dirò più oltre quello seguissi in Roma, perché io non lo so, e mi basterà dirti quello intervenne a me.
      Come io intesi che l'inimici erono drento, sendo pure in Roma molte case infette di peste, feci mettere alla porta la insegna della peste et io, avendo una bolla in una gamba portata molti mesi, la feci con il sangue rossa intorno, poi, fasciatomi el capo, me n'entrai nel letto e dissi a quel servitore tedesco dicessi, a chi veniva, che ero malato di peste; et una serva fiorentina feci stare in su l'uscio della camera, afflitta e dolorosa.
      Ecco comincio a sentire il romore per la piazza, vengono quattro tedeschi alla porta mia e, veduta l'insegna della peste, domandorno il mio servitore, che era a sedere in su l'uscio, quello voglia dire quella insegna. Lui risponde che al patrone della casa erano in pochi giorni morti quattro figliuoli e la donna di peste, e che lui era malato nel letto, onde loro, inteso questo, segnorono l'uscio col gesso e lasciorono uno di loro innanzi all'uscio e si partirono. E stettono a tornare circa a quattro ore e menorono con loro un becchino della peste tedesco, che aveva fatto lo essercizio in Roma più anni, e lo mandorono in casa a intendere come io stavo.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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