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      Lui, o che mi trovassi alterato per la paura, o che indicassi avere a trarre più profitto quando dicessi essere peste, affermò che io ero malato, ma che credeva fussi per guarire, onde loro, lasciatolo quivi a mia custodia, si partirono. Et io attendevo a starmi nel letto, né volevo sapere cosa alcuna che seguissi in Roma.
      E già erono passati quindici dì et io avevo fatto un parentado con quel becchino tedesco, in modo pensavo del male averne a patire manco degli altri. E mentre io mi pascevo di questa speranza, li tedeschi tornorono una mattina. E dimandando il becchino et il servitore mio come io stavo, e l'uno e l'altro dicendo male, cominciorono a sospettare e si missono a entrare in casa e dipoi in camera e tôrre tutto quello vi era. Et in ultimo mi posono di taglia ducati cinquecento, li quali dicevo non potere pagare perché ero povero, vecchio e malato di peste. Loro cominciorono a minacciarmi et in ultimo a battermi di modo che io dissi che, se avevo commodità mandare fuora di Roma il mio tedesco, provederei ducati trecento, di che loro si contentorono.
      Io, simulando mandarlo a Tiboli, cavai del secreto ducati trecentocinquanta, de' quali pagai loro trecento et il resto mi serbai in certo luogo della casa, che malvolentieri essi potevono trovare, e finsi che il servitore me li avessi portati. Loro, vedendo che io avevo provisto li danari presto, stettono dubi donde io li avessi avuti et entrò loro sospetto che io non fussi ricco. E quando io credevo, avendo avuto la taglia, mi lasciassino partire, loro mi tenevano, non però molto stretto.


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Scritti storici e politici
di Francesco Vettori
pagine 412

   





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