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      L'orazion terza, recitata l'anno 1701, è una come appendice pratica delle due innanzi, sopra questo argomento: A litteraria societate omnem malam fraudem abesse oportere, si vos vera non simulata, solida non vana, eruditione ornari studeatis. E dimostra che nella repubblica letteraria bisogna vivere con giustizia, e si condannano i critici a compiacenza, che esiggono con iniquità i tributi di questo erario, gli ostinati delle sètte, che impediscono accrescersi l'erario, gl'impostori, che fraudano le loro contribuzioni all'erario delle lettere.
      La quarta orazione, recitata l'anno 1704, propone questo argomento: Si quis ex litterarum studiis maximas utilitates easque semper cum honestate coniunctas percipere velit, is gloriae sive communi bono erudiatur. Ella è contra i falsi dotti che studiano per la sola utilità, per la quale proccurano più di parere che di esser tali, e, conseguita l'utilità propostasi, s'infingardiscono ed usano pessime arti per durare in oppinione di dotti. Aveva il Vico già recitata la metà di questo ragionamento, quando venne il signor don Felice Lanzina Ulloa, presidente del Sacro Consiglio, il Catone de' ministri spagnuoli, in onor di cui egli con molto spirito diede altro torno e più brieve al già detto e attaccollo con ciò che restava a dire. Per una cui simile vivezza d'ingegno, che usò in lingua italiana Clemente undecimo, quando egli era abate, nell'accademia degli Umoristi in onore del cardinale d'Etré, suo protettore, cominciò appo Innocenzo decimosecondo le sue fortune, che il portarono al sommo ponteficato.


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
pagine 92

   





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