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      E, come poteva ogniun vederlo, la sera, per tutto il tempo che la scrisse non ebbe giammai altro innanzi sul tavolino che i comentari, come se scrivesse in lingua nativa, ed in mezzo agli strepiti domestici e spesso in conversazion degli amici; e sì lavorolla temprata di onore del subbietto, di riverenza verso i prìncipi e di giustizia che si dee aver per la verità. L'opera uscì magnifica dalle stampe di Felice Mosca in quarto foglio in un giusto volume l'anno 1716, e fu il primo libro che con gusto di quelle di Olanda uscì dalle stampe di Napoli; e, mandata dal duca al sommo pontefice Clemente undecimo, in un brieve, con cui la gradì, meritò l'elogio di «storia immortale», e di più conciliò al Vico la stima e l'amicizia di un chiarissimo letterato d'Italia, signor Gianvincenzo Gravina, col quale coltivò stretta corrispondenza infino che egli morì (1718).
      Nell'apparecchiarsi a scrivere questa vita, il Vico si vide in obbligo di leggere Ugon Grozio, De iure belli et pacis. E qui vide il quarto auttore da aggiugnersi agli tre altri che egli si aveva proposti. Perché Platone adorna più tosto che ferma la sua sapienza riposta con la volgare di Omero; Tacito sparge la sua metafisica, morale e politica per gli fatti, come da' tempi ad essolui vengono innanzi sparsi e confusi senza sistema; Bacone vede tutto il saper umano e divino, che vi era, doversi supplire in ciò che non ha ed emendare in ciò che ha, ma, intorno alle leggi, egli co' suoi canoni non s'innalzò troppo all'universo delle città ed alla scorsa di tutti i tempi né alla distesa di tutte le nazioni.


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
pagine 92

   





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