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      Poi il giorno appresso la stese quale l'aveva recitata e ne diede essemplari, fra gli altri, al signor don Domenico Caravita, avvocato primario di questi suppremi tribunali, degnissimo figliuolo del signor don Nicolò, il quale non vi poté intervenire.
      Stimò soltanto il Vico portare a questa pretensione i suoi meriti e 'l saggio della lezione, per lo cui universal applauso era stato posto in isperanza di certamente conseguire la cattedra; quando egli, fatto accorto dell'infelice evento, qual in fatti riuscì anche in persona di coloro che erano immediatamente per tal cattedra graduati, perché non sembrasse delicato o superbo di non andar attorno, di non priegare e fare gli altri doveri onesti de' pretensori, col consiglio ed auttorità di esso signor don Domenico Caravita, sapiente uomo e benvoglientissimo suo, che gli appruovò che a esso conveniva tirarsene, con grandezza di animo andò a professare che si ritraeva dal pretenderla.
      Questa dissavventura del Vico, per la quale disperò per l'avvenire aver mai più degno luogo nella sua patria, fu ella consolata dal giudizio del signor Giovan Clerico, il quale, come se avesse udite le accuse fatte da taluni alla di lui opera, così nella seconda parte del volume XVIII della Biblioteca antica e moderna, all'articolo VIII, con queste parole, puntualmente dal francese tradotte, per coloro che dicevano non intendersi, giudica generalmente: che l'opera è «ripiena di materie recondite, di considerazioni assai varie, scritta in istile molto serrato»; che infiniti luoghi avrebbono bisogno di ben lunghi estratti; è ordita con «metodo mattematico», che «da pochi princìpi tragge infinità di conseguenze»; che bisogna leggersi con attenzione, senza interrompimento, da capo a piedi, ed avvezzarsi alle sue idee ed al suo stile; così, col meditarvi sopra, i leggitori «vi truoveranno di più, col maggiormente innoltrarsi, molte scoverte e curiose osservazioni fuor di loro aspettativa». Per quello onde fe' tanto romore la terza parte della dissertazione, per quanto riguarda la filosofia dice così: «Tutto ciò che altre volte è stato detto de' princìpi della divina ed umana erudizione, che si truova uniforme a quanto è stato scritto nel libro precedente, egli è di necessità vero». Per quanto riguarda alla filologia, egli così ne giudica: «Egli ci dà in accorcio le principali epoche dopo il diluvio infino al tempo che Annibale portò la guerra in Italia; perché egli discorre in tutto il corpo del libro sopra diverse cose che seguirono in questo spazio di tempo, e fa molte osservazioni di filologia sopra un gran numero di materie, emendando quantità di errori vulgari, a' quali uomini intendentissimi non hanno punto badato». E finalmente conchiude per tutti: «Vi si vede una mescolanza perpetua di materie filosofiche, giuridiche e filologiche, poiché il signor Vico si è particolarmente applicato a queste tre scienze e le ha ben meditate, come tutti coloro che leggeranno le sue opere converranno in ciò. Tra queste tre scienze vi ha un sì forte ligame che non può uom vantarsi di averne penetrata e conosciuta una in tutta la sua distesa senza averne altresì grandissima cognizione dell'altre.


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
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