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      Però quanto fu acre contro coloro i quali proccuravano di scemargliele, tanto fu ossequioso inverso quelli che di esso e delle sue opere facevano giusta stima, i quali sempre furono i migliori e gli più dotti della città. De' mezzi o falsi, e gli uni e gli altri perché cattivi dotti, la parte più perduta il chiamava pazzo, o con vocaboli alquanto più civili, il dicevano essere stravagante e di idee singolari od oscuro. La parte più maliziosa l'oppresse con queste lodi: altri dicevano che 'l Vico era buono ad insegnar a' giovani dopo aver fatto tutto il corso de' loro studi cioè quando erano stati da essi già resi appagati del loro sapere, come se fusse falso quel voto di Quintiliano, il qual desiderava ch'i figliuoli de' grandi, come Alessandro Magno, da bambini fussero messi in grembo agli Aristotili; altri s'avvanzavano ad una lode quanto più grande tanto più rovinosa: ch'egli valeva a dar buoni indirizzi ad essi maestri. Ma egli tutte queste avversità benediceva come occasioni per le quali esso, come a sua alta inespugnabil rocca, si ritirava al tavolino per meditar e scriver altre opere, le quali chiamava «generose vendette de' suoi detrattori»; le quali finalmente il condussero a ritruovare la Scienza nuova. Dopo la quale, godendo vita, libertà ed onore, si teneva per più fortunato di Socrate, del quale, faccendo menzione il buon Fedro, fece quel magnanimo voto:
     
      cuius non fugio mortem, si famam assequar,
      et cedo invidiae, dummodo absolvar cinis.
     


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Vita di Giovambattista Vico scritta da se medesimo
di Giambattista Vico
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