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      Delle quali tre lingue v'hanno due luoghi d'oro appo Omero nell'Iliade, per gli quali apertamente si veggono i greci convenir in ciò con gli egizi. De' quali uno è dove narra che Nestore visse tre vite d'uomini diversilingui: talché Nestore dee essere stato un carattere eroico della cronologia stabilita per le tre lingue corrispondenti alle tre età degli egizi; onde tanto dovette significare quel motto: «vivere gli anni di Nestore» quanto «vivere gli anni del mondo». L'altro è dove Enea racconta ad Achille che uomini diversilingui cominciaron ad abitar Ilio, dopoché Troia fu portata a' lidi del mare e Pergamo ne divenne la ròcca. Con tal primo principio congiugniamo quella tradizione, pur degli egizi, che 'l loro Theut o Mercurio ritruovò e le leggi e le lettere.
      A queste verità aggruppiamo quell'altre: ch'appo i greci i «nomi» significarono lo stesso che «caratteri», da' quali i padri della Chiesa presero con promiscuo uso quelle due espressioni, ove ne ragionano de divinis characteribus e de divinis nominibus. E «nomen» e «definitio» significano la stessa cosa, ove in rettorica si dice «quæstio nominis», con la qual si cerca la diffinizione del fatto; e la nomenclatura de' morbi è in medicina quella parte che diffinisce la natura di essi. Appo i romani i «nomi» significarono prima e propiamente «case diramate in molte famiglie». E che i primi greci avessero anch'essi avuto i «nomi» in sì fatto significato, il dimostrano i patronimici, che significano «nomi di padri», de' quali tanto spesso fanno uso i poeti, e più di tutti il primo di tutti Omero (appunto come i patrizi romani da un tribuno della plebe, appo Livio, son diffiniti «qui possunt nomine ciere patrem», «che possano usare il casato de' loro padri»), i quali patronimici poi si sperderono nella libertà popolare di tutta la restante Grecia, e dagli Eraclidi si serbarono in Isparta, repubblica aristocratica.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
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