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      Il qual dominio, perch'è di essi fondi, da' sovrani naturalmente non si può esercitare che per conservare la sostanza de' loro Stati, allo stare de' quali stanno, al rovinare rovinano tutte le cose particolari de' popoli.
      Che i romani avessero sentito, se non inteso, questa generazione di repubbliche sopra tali princìpi eterni de' feudi, ci si dimostra nella formola che ci han lasciato della revindicazione, così conceputa: «Aio hunc fundum meum esse ex iure quiritium», nella qual attaccarono cotal azione civile al dominio del fondo, ch'è di essa città e proviene da essa forza, per così dire, centrale, per la qual ogni cittadino romano è certo signore di ciascun suo podere, con un dominio «pro indiviso» che uno scolastico direbbe, per una mera distinzion di ragione, e perciò detta «ex iure quiritium», i quali, per mille pruove fatte e da farsi, furono dapprima i romani armati d'aste in pubblica ragunanza, che facevan essa città. Tanto che questa è la profonda ragione ch'i fondi e tutti i beni (i quali tutti da essi fondi provengono), ove sono vacanti, ricadono al fisco: perché ogni patrimonio privato pro indiviso è patrimonio pubblico, onde, in mancanza de' privati padroni, perdono la disegnazione di parte e restano con quella di tutto. Che dee essere la cagione di quella elegante frase legale: ch'i retaggi, particolarmente leggittimi, si dicono «redire agli eredi», a' quali, in verità, vengono una sol volta, perché da' fondatori del diritto romano, ch'essi fondarono nel fondare della romana repubblica, tutti i patrimoni privati si ordinarono feudi, quali da' feudisti si dicono «ex pacto et providentia», che tutti escono dal patrimonio pubblico e, per patto e provvedenza delle civili leggi, girano sotto certe solennità da privati in privati, in difetto de' quali debbano ritornare al lor principio, dond'essi eran usciti.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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