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      Tutto ciò vien confermato da Tito Livio, il quale, in narrando l'ordinamento fatto da Giunio Bruto de' due consoli annali, dice apertamente e professa non essersi di nulla affatto mutato lo Stato (come dovette da sappiente far Bruto, di richiamare da tal corrottella a' suoi princìpi lo Stato), e coi due consoli annali «nihil quicquam de regia potestate deminutum»: tanto che vennero i consoli ad essere due re aristocratici annali, quali Cicerone nelle Leggi gli appella «reges annuos» (com'eran a vita quelli di Sparta, repubblica senza dubbio aristocratica); i quali consoli, com'ognun sa, erano soggetti all'appellagione durante esso loro regno (siccome gli re spartani erano soggetti all'emenda degli efori), e, finito il regno annale, erano soggetti all'accuse (conforme gli re spartani erano fatti morire dagli efori). Per lo qual luogo di Livio ad un colpo si dimostra e che 'l regno romano fu aristocratico e che la ordinata da Bruto ella fu libertà, non già popolare, cioè del popolo da' signori, ma signorile, cioè de' signori da' tiranni Tarquini. Lo che certamente Bruto non arebbe potuto fare, se non gli si offeriva il fatto di Lugrezia romana, ch'esso saggiamente afferrò; la qual occasione era vestita di tutte le circostanze sublimi per commuovere la plebe contro il tiranno Tarquinio, il qual aveva fatto tanto mal governo della nobiltà, ch'a Bruto fu d'uopo di riempier il senato, già esausto per tanti senatori fatti morir dal Superbo. Nello che conseguì, con saggio consiglio, due pubbliche utilità: e rinforzò l'ordine de' nobili già cadente, e si conservò il favor della plebe; perché del corpo di quella dovette scegliere moltissimi, e forse gli più feroci, ch'arebbon ostato a riordinarsi la signoria, e gli fece entrare nell'ordine de' nobili, e così compose la città, la qual era a que' tempi tutta divisa «inter patres et plebem».


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
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