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      Onde quel sublime, ch'ammira Dionigi Longino nell'oda di Saffo che poi trasportò in latino Catullo, che l'innamorato, alla presenza della sua amata donna, spiega per somiglianza:
     
      Ille mi par esse deo videtur
     
      manca del sommo grado della sublimità, perché non singolarizza la sentenza in se stesso, come fa Terenzio, con dire:
     
      Vitam deorum adepti sumus;
     
      il qual sentimento, quantunque sia propio di chi lo dice, per la maniera latina d'usare nella prima persona il numero del più per quello del meno, però ha un'aria di sentimento comune. Ma dallo stesso poeta, in altra commedia, il medesimo sentimento è innalzato al sommo grado della sublimità, ove, singolarizzandolo, l'appropia a chi 'l sente:
     
      Deus factus sum.
     
      Perciò queste sentenze astratte son di filosofi, perché contengono universali, e le riflessioni sopra esse passioni sono di falsi e freddi poeti.
     
      4.
     
      COROLLARIO: DELLE DESCRIZIONI EROICHE.
     
      Finalmente riducevano le funzioni esterne dell'animo ai cinque sensi del corpo, ma scorti, vividi e risentiti, siccome quelli ch'erano nulla o assai poco ragione e tutti robustissima fantasia. Di ciò sieno pruove i vocaboli che diedero ad essi sensi.
      Dissero «audire», quasi «haurire», perché gli orecchi bevano l'aria da altri corpi percossa. Dissero «cernere oculis» il vedere distintamente (onde forse venne «scernere» agl'italiani), perché gli occhi sieno come un vaglio e le pupille due buchi - che, come da quello escon i bastoni di polvere, che vanno a toccare la terra, così dagli occhi, per le pupille, escano bastoni di luce, che vanno a toccare le cose, le quali distintamente si vedono (ch'è 'l baston visuale che poi ragionarono gli stoici, e felicemente a' nostri tempi ha dimostrato il Cartesio); - e dissero «usurpare oculis» generalmente il vedere, quasi che, con la vista, s'impossessassero delle cose vedute.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
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