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      Ma come tali greche voci e idee sieno pervenute a' latini in tempi sommamente selvaggi, ne' quali le nazioni erano chiuse a stranieri, quando Livio niega ch'a' tempi di Servio Tullio, nonché esso Pittagora, il di lui famosissimo nome, per mezzo a tante nazioni, di lingue e di costumi diverse, avesse da Cotrone potuto giugner a Roma; per questa difficultà appunto noi sopra domandammo in un postulato, perché ne portavamo necessaria congettura, che vi fusse stata alcuna città greca nel lido del Lazio, e che poi si fusse seppellita nelle tenebre dell'antichità, la qual avesse insegnato a' latini le lettere, le quali, come narra Tacito, furono dapprima somiglianti alle più antiche de' greci. Lo che è forte argomento ch'i latini ricevettero le lettere greche da questi greci del Lazio, non da quelli di Magna Grecia, e molto meno della Grecia oltramare, co' quali non si conobbero che dal tempo della guerra di Taranto, che portò appresso quella di Pirro: perché, altrimente, i latini arebbono usato le lettere ultime de' greci, e non ritenute le prime, che furono l'antichissime greche.
      Così i nomi d'Ercole, d'Evandro, d'Enea da Grecia entrarono nel Lazio per questi seguenti costumi delle nazioni:
      Prima, perché, siccome, nella loro barbarie, amano i costumi loro natii, così, da che incominciano a ingentilirsi, come delle mercatanzie e delle fogge straniere, così si dilettano degli stranieri parlari; e perciò scambiarono il loro dio Fidio con l'Ercole de' greci, e, per lo giuramento natio «medius fidius», introdusseo «mehercule», «edepol», «mecastor».


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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