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      Ma nella Grecia fondò Teseo la città d'Atene sul famoso altare degl'infelici, estimando con la giusta idea d'«infelici» gli uomini eslegi ed empi, che dalle risse della infame comunione ricorrevano alle terre forti de' forti, come sopra abbiam detto, tutti soli, deboli e bisognosi di tutti i beni ch'aveva a' pii produtto l'umanità; onde da' greci si disse ára anco il «voto». Perché, come pur sopra abbiam ragionato, sopra tali prime are del gentilesimo le prime ostie, le prime vittime (dette «Saturni hostiæ», come sopra vedemmo), i primi anathémata (ch'in latino si trasportano «diris devoti»), che furono gli empi violenti, ch'osavano entrare nelle terre arate de' forti per inseguire i deboli, che per campare da essi vi rifuggivano (ond'è forse detto «campare» per «salvarsi»), quivi essi da Vesta vi erano consagrati ed uccisi; e ne restò a' latini «supplicium» per significare «pena» e «sagrifizio», ch'usa fra gli altri Sallustio. Nelle quali significazioni troppo acconciamente a' latini rispondono i greci, a' quali la voce ára, che, come si è detto, vuol dire «votum», significa altresì «noxa», ch'è 'l corpo c'ha fatto il danno, e significa «diræ» che son esse Furie, quali appunto erano questi primi devoti che qui abbiam detto (e più ne diremo nel libro IV), ch'erano consagrati alle Furie e dappoi sagrificati sopra questi primi altari della gentilità. Talché la voce «hara», che ci restò a significare la «mandria», dovette agli antichi latini significare la «vittima»; dalla qual voce certamente è detto «aruspex» l'indovinatore, dall'interiore delle vittime uccise innanzi agli altari.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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