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      Laonde s'ha necessariamente a dire ch'avendo i plebei riportato da' nobili il dominio certo de' campi con la legge delle XII Tavole (che noi sopra dimostrammo essere stata la seconda agraria del mondo) ed essendo ancora stranieri (perché tal dominio puossi concedere agli stranieri), con la sperienza furono fatti accorti che non potevano lasciargli ab intestato a' loro congionti, perché, non contraendo nozze solenni tra essoloro, non avevano suità, agnazioni, gentilità; molto meno in testamento, non essendo cittadini. Né è maraviglia, essendo stati uomini di niuna o pochissima intelligenza, come lo ci appruovano le leggi Furia, Voconia e Falcidia, che tutte e tre furono plebisciti; e tante ve n'abbisognarono perché con la legge Falcidia si fermasse finalmente la disiderata utilità ch'i retaggi non si assorbissero da' legati. Perciò, con le morti d'essi plebei ch'eran avvenute in tre anni, accortisi che, per tal via, i campi loro assegnati ritornavano a' nobili, coi connubi pretesero la cittadinanza, come sopra si è ragionato. Ma i gramatici, confusi da tutti i politici, ch'immaginarono Roma essere stata fondata da Romolo sullo stato nel quale ora stanno le città, non seppero che le plebi delle città eroiche per più secoli furono tenute per istraniere, e quindi contrassero matrimoni naturali tra loro; e perciò essi non avvertirono ch'era una, quanto in fatti sconcia, tanto nelle parole men latina espressione quella della storia: che «plebei tentarunt connubia patrum», ch'arebbe dovuto dire «cum patribus» (perché le leggi connubiali parlan così per esemplo: «patruus non habet cum fratris filia connubium»), come anco si è sopra detto.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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