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      Per questi stessi princìpi, perché non intendevano forme astratte, ne immaginarono forme corporee, e l'immaginarono, dalla loro natura, animate. E finsero l'eredità signora delle robe ereditarie, ed in ogni particolar cosa ereditaria la ravvisavano tutta intiera: appunto come una gleba o zolla del podere, che presentavano al giudice, con la formola della revindicazione essi dicevano «hunc fundum». E così, se non intesero, sentirono rozzamente almeno ch'i diritti fussero indivisibili.
      In conformità di tali nature, l'antica giurisprudenza tutta fu poetica, la quale fingeva i fatti non fatti, i non fatti fatti, nati gli non nati ancora, morti i viventi, i morti vivere nelle loro giacenti eredità; introdusse tante maschere vane senza subbietti, che si dissero «iura imaginaria», ragioni favoleggiate da fantasia; e riponeva tutta la sua riputazione in truovare sì fatte favole ch'alle leggi serbassero la gravità ed ai fatti ministrassero la ragione. Talché tutte le finzioni dell'antica giurisprudenza furono verità mascherate; e le formole con le quali parlavan le leggi, per le loro circoscritte misure di tante e tali parole - né più, né meno, né altre, si dissero «carmina», come sopra udimmo dirsi da Livio quella che dettava la pena contro di Orazio. Lo che vien confermato con un luogo d'oro di Plauto nell'Asinaria, dove Diabolo dice il parasito esser un gran poeta, perché sappia più di tutti ritruovare cautele o formole, le quali or si è veduto che si dicevano «carmina».
      Talché tutto il diritto romano antico fu un serioso poema, che si rappresentava da' romani nel fòro, e l'antica giurisprudenza fu una severa poesia.


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Principj di scienza nuova
di Giambattista Vico
pagine 534

   





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