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      Risaliamo per breve tratto lungo le sponde per trovare una posizione propizia al nostro passaggio; parmi il fiume abbia un centinajo o poco più di metri di larghezza, ma la traversata dovendosi operare trasversalmente, perchè la corrente trasporta, diventa assai più lunga; alcuni indigeni entrano nell'acqua e felicemente li vediamo raggiungere l'opposta riva. Quel che fa un abissinese lo sapremo fare anche noi, gridiamo: i nostri spiriti si sono rianimati, in due minuti siamo pronti, e ajutati da due indigeni che gridano e battono l'acqua con un bastone per allontanare i coccodrilli, coll'acqua fino alla gola e facendo ogni sforzo per vincere la corrente, raggiungiamo l'opposta sponda.
      Gli stessi uomini si incaricano a diverse riprese di far passare i nostri effetti, le mule nuotano per conto loro, e persino il prete, visto che v'era a guadagnare qualche tallero, smesso quel poco abito e con esso la altrettanto poca dignità sacerdotale, ci apparve in costume perfettamente adamitico per aiutare al passaggio nostro e della nostra roba. Il cielo ci assiste in questo momento, il gran passaggio è fatto, un sole splendido ci riscalda e ci serve ad asciugare la nostra roba, che dal più al meno aveva tutta assaporata l'acqua del Taccazè.
      Ci rimettiamo in via. I pasti poco succolenti di parecchi giorni, il digiuno quasi completo e il bagno, fanno i loro effetti, e la debolezza ci permette a stento di reggerci sulle gambe; camminiamo come ubbriachi, e ci sta davanti una salita a fare colle ginocchia in bocca, con un caldo soffocante, obbligati per di più a spingere le mule che per forza brillano come noi.


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Abissinia
Giornale di un viaggio
di Giuseppe Vigoni
Editore Hoepli Milano
1881 pagine 284

   





Taccazè