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      LXXV
     
     
      Come allo re Carlo convenne per necessità partire dall'asedio di Messina, e tornossene nel Regno.
     
      Quando il re Carlo udì questo, isbigottì forte, che mai per pericolo di battaglia né per altra aversità non avea avuto paura, e sospirando disse: "Volesse Idio ch'io fossi morto, dapoi che·lla fortuna m'è così contraria, ch'ho perduta mia terra avendo tanta potenzia di gente in mare e in terra; e non so perché m'è tolta da gente ch'io mai non diservì; e molto mi doglio, ch'io non presi Messina con patti ch'io la potei avere. Ma da che altro non posso", con grande dolore disse, "levisi l'oste, e passiamo; e chi m'avrà colpa di questo tradimento, o cherico o laico, ne farò grande vendetta". E il primo giorno fece passare la reina con ogni gente di mestiere e con parte degli arnesi dell'oste; il secondo dì passò il re con tutta sua gente, salvo ch'a cautela di guerra lasciò in aguato di fuori da Messina due capitani con MM cavalieri, a·ffine che levata l'oste, se quegli di Messina uscissono fuori per guadagnare della roba del campo, venissono loro adosso e entrassono nella terra; e se fatto venisse, ritornerebbe il re con sua gente incontanente. L'ordine fu bene fatto, e così fu bene contrapensato, che' Missinesi iscopersono il guato, e comandarono sotto pena della vita che nullo uscisse fuori della città; e così fu fatto. I Franceschi ch'erano rimasi in aguato, veggendosi scoperti, procacciarono di passare, e vennorne il terzo dì a lo re in Calavra, e dissono come il suo aviso era loro fallito; onde al re Carlo radoppiò il dolore, perché alcuna speranza n'avea.


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Nuova cronica
Tomo Primo
di Giovanni Villani
pagine 501

   





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