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      Quando era ancora inconsapevole della vita, ed ignorava che cosa fosse questo amore, di cui tanto parlavano i poeti, vide una donna, che s'impadronì violentemente del suo cuore. Non era questa una passione, che potesse ispirare versi da cantarsi fra i tornei e le allegre brigate. Tutto il suo studio era, invece, di nascondere al mondo il nuovo e terribile affetto, che lo sguardo di un indifferente poteva solo profanare. Egli cercava un'altra donna, sotto il cui nome coprire la vera passione che lo straziava. A lui pareva d'essere divenuto maggiore di sè, che un Dio più forte di lui si fosse impadronito della sua anima; eppure gli sembrava d'essere ridicolo al cospetto del volgo, che eragli divenuto odioso. Quando la sua Beatrice s'avvicinava, egli ci dice, che sentivasi mancare prima di vederla; e le donne ridevan di lui. Ma non v'era modo. Ella col volgere de' suoi occhi penetrava nel suo animo, s'impadroniva de' suoi pensieri, ed a lui sembrava che lo scopo della sua vita fosse tutto nel ricevere il saluto di lei. Supporre che in tale stato si potesse mettere ad imitare i provenzali, o qualunque poeta al mondo, sarebbe non aver nulla compreso del suo cuore. Egli era nella condizione, in cui la poesia non può ancora esser soggetto di arte, perchè è un fatto reale e misterioso, che nessuna parola può raggiungere. Pure, nell'impeto della passione, egli era entrato in una tempesta, nella quale tutte le potenze del suo spirito si moltiplicavano; e poteva veramente dire alla donna, che doveva rendere immortale col suo amore: più io ti do, e più io possiedo.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





Dio Beatrice