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      Capitanati dall'ambizioso Corso Donati, che era chiamato in Firenze il Barone, essi miravano apertamente a distruggere quegli Ordinamenti di Giustizia, coi quali Giano della Bella aveva trovato l'ultima forma della democrazia fiorentina. Dante allora non esitò a valersi d'un'autorità, che doveva durar due soli mesi, al fine di sventare le mire del partito avverso alla libertà; egli combattè quei ricchi, che volevano violare gli statuti, e si dichiarò avversario fierissimo di Corso Donati. Ed essi allora si volsero a Bonifacio VIII, la cui incerta politica, mirando solo a crescere il proprio dominio, venne subito in loro aiuto. Così Firenze si trovò divisa fra Neri, ricchi e prepotenti, che appoggiandosi al papa, pretesero d'essere i veri Guelfi, e i Bianchi, Guelfi anch'essi, ma democratici e pronti all'uopo a combattere il papa, per sostenere l'indipendenza della repubblica. E Dante non esitò punto a seguire l'intrapreso cammino. Non si spaventò d'essere chiamato Bianco e di combattere il papa; ma volle tenersi fedele agl'interessi della repubblica. Guido Cavalcanti, Dino Compagni, Villani e tutti i Guelfi più intelligenti e liberali seguirono la stessa via. La storia ci dimostra che le loro preoccupazioni non erano esagerate. Essi furono vinti, è vero, e la più parte andarono in esilio; ma nel tempo stesso, in cui uscivano i Bianchi dalla loro terra natale, v'entrava lo straniero Carlo di Valois, chiamatovi appunto dal papa. I gendarmi francesi passeggiarono da padroni le vie di Firenze, che andò parecchi giorni a sacco ed a fuoco, per opera dei Neri.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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