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      In quelle rappresentazioni, che furono la prima forma del teatro moderno, il palco scenico soleva allora essere diviso in tre ordini, che rappresentavano appunto i tre regni della vita oltramondana, ed in mezzo v'era sempre la gigantesca figura di Lucifero. Questa Commedia religiosa o divina, che dire si voglia, lo faceva assistere di nuovo al misterioso viaggio, nel quale egli ritrovava finalmente il soggetto del suo poema. Il quadro era grande quanto il suo genio, ed egli vi raccolse tutta la sua esperienza, tutte le sue idee. Vi gettò dentro la tradizione e la storia, la religione e la scolastica, la Chiesa e l'Impero, i Guelfi e i Ghibellini, tutta l'Italia, tutto il medio evo. Ma la poesìa non era anche cominciata. Questi fantasmi moltiplicati pure all'infinito potevan darci una enciclopedia mitologica del suo secolo, ma non l'arte moderna; perchè vi mancava ancora la vita. Se non che l'Alighieri diveniva a poco a poco come parte di questo mondo, che lentamente lo circondava. Le immagini, gli strani fantasmi si raccoglievano e stringevano intorno a lui; sembravano guardarlo e fissarlo, quasi avessero a rivelargli un misterioso segreto. Cominciava un intimo colloquio, una strana confidenza fra questo mondo creato inconsapevolmente dalla fantasia popolare, e l'anima del poeta, che si voleva rendere ragione di tutto. Questo mondo era pure uscito dall'anima umana, ed ora a lui sembrava che fosse uscito dalla sua immaginazione. E come per magico colpo, tutti quei fantasmi, tutti quei personaggi acquistavano ora un significato, un'esistenza reale, quasi una voce umana a lui nota, quanto la voce della sua coscienza.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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