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      Dico adunque così, ch'io sostenni de grandissime morsicadure de bestie crudele, come sono de' cani rabbiosi, de orsi, leoni, serpenti, basalischi, vipere crudelissime, innumerabili scorpioni, e dure botte da innumerabili demonij; ardore e incendio de foco, e asprezza de freddo, e terribilissima puzza de solfore, calige, oscuritade, doglie, flusso de sangue e pianto in abondanzia, tribulazione e stridore de' denti. E queste simigliante pene, vedute e provate, che sostenne la mia misera anima, che altro che piangere et accusarme me medesimo del peccato mio; e per la grandissima tristezza e desperazione, io me guastava la mia guarnazza.
      E standomi così una grande ora, e cognoscendomi essere dannata90 a la morte eternale per li mei peccati; subitamente, non sapendo in che modo, nè in che ordine, nè da cui, io me ritrovai posto de fuora di questa bestia. E cadendo in terra molto debile per una grande ora, apersi li occhi miei, e vidi apresso de me questo spirito de luce che mi avea guidato. Allora io presi conforto e disse a l'angelo: Dimme, amico mio e speranza conceduta a me da Dio indignamente, o lume de li occhi miei, bastone e sostegno91 de la mia misera anima; perchè mi vo' tu, mi misera, abandonare? Se Dio misericordioso non mi avesse mai fatto nessuno bene, se non questo, che lui mi t'ha dato in soccorso et in adiutorio; io non son degno de ciò, et io ringrazio la sua misericordia, ch'è stata più che la mia iniquità. Disse l'Angelo92: Rendendo lui a ciascuno secondo la sua fine, e secondo ch'io te dissi; io te conforto che te guardi sì, che quando tu sarai in tua bailìa, non facci più male; a ciò che tu non vegni a queste pene che tu hai vedute.


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Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia
di Pasquale Villari
1865 pagine 287

   





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