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      Il maggiore da noi mentovato dichiarava tutti i raccolti nelle sale del delegato esser prigioni di guerra; dimandava l'immediata consegna delle armi; al qual uopo aveva condotti seco due carri per trasportarle. E non č a dirsi la sua meraviglia, allorchč vide co' suoi occhi tutte le armi raccolte non oltrepassare il numero di quaranta fucili.
      Alcuni dei nostri ripararono nella sala di consiglio, tramutata in infermeria. Io mi trovava in quel luogo, e come medico, con altro compagno, attendeva alla cura dei feriti. Questi erano in tutto otto o dieci tra i quali un caporale boemo. Ivi fummo pure raggiunti da altri che fuggivano il primo impeto dei soldati furiosi; udivamo farsi vicine sempre pių le loro grida; c'intronavano l'orecchio i colpi furiosi che davano agli usci, i quali cedevano sfondati sotto le scuri. Irruivano finalmente i soldati nella sala, ma in luogo di trovare uomini armati, vedevano alcuni materassi accomodati alla meglio, sui quali agonizzavano i feriti. Il coadjutore di S. Tomaso, con la stola e l'olio santo, andava confortando qualche moribondo. Alle sue preghiere, mormorate tra il terrore d'una morte imminente anche per lui, si mescevano le bestemmie croate e boeme. Tuttavia quella vista valse per qualche istante e frenare l'impeto di que' truci, e a inspirar loro men fieri sensi: ma passato quel primo stupore, gli officiali salirono in nuovo furore, esclamando:
      Come? anche ambulanza? dunque tutto qua preparato!" E stavano per inveire con noi, che medicavamo i feriti.


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Storia delle cinque gloriose giornate di Milano nel 1848
Antonio Vismara
di Editore Pagnoni Milano
1873
pagine 141

   





S. Tomaso