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      Candido l’obbedì con un profondo rispetto, e benchè fosse confuso e avesse la voce fievole e tremante, e benchè gli facesse anche un po’ male la schiena, le raccontò nella maniera più semplice quel che egli aveva sofferto dal momento della loro separazione. Cunegonda alzava gli occhi al cielo; pianse amaramente alla morte del buon anabattista, e di Pangloss, e parlò quindi in questi termini a Candido, che non ne perdeva una parola, e che la mangiava cogli occhi.
     
     
      CAPITOLO VIII.
     
      Istoria di Cunegonda.
     
      “Ero nel mio letto e dormivo saporitamente, quando al ciel piacque di mandare i Bulgari nel nostro bel castello di Thunder-ten-tronckh; essi scannarono mio fratello e mio padre, e tagliaron mia madre a pezzi. Un gran bulgaro alto sei piedi, vedendo che a un tale spettacolo avevo perduto il conoscimento, mi oltraggiò; questo mi fece rinvenire e ripigliare i miei sensi. Gridai, mi dibattei, morsi, sgraffiai, volli cavar gli occhi a quel bulgaro, non sapendo che tutto quel che accadea nel castello era cosa solita e d’uso. Quel brutale mi diede una coltellata sul fianco sinistro, di cui porto anche il segno. — Ahimè, spero che me lo farete vedere, disse il semplice Candido. — Voi lo vedrete, ma andiamo avanti, disse Cunegonda. — Andiamo pur avanti, disse Candido.
      Ella così riprese il filo della sua istoria: “Un capitano de’ Bulgari entrò, vide me tutta insanguinata, e il soldato che non facea vista di muoversi. Il capitano in collera pel poco rispetto che avea per lui, quel brutale, me l’ammazzò accosto; mi fece quindi curare, e mi menò prigioniera di guerra nel suo quartiere.


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Candido o L'ottimismo satirico
di Voltaire (François Marie Arouet
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 151

   





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