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      Tosto sparisce.
      Candido e Martino non ebbero più dubbio allora che quella non fosse una mascherata da carnevale. Viene un quarto domestico, e dice a un quarto padrone:
      — Vostra maestà partirà quando vorrà; e parte. — Un quinto domestico dice altrettanto a un quinto padrone; ma il sesto servo parla direttamente al sesto forestiero, che era accanto a Candido e gli dice: — In fede mia, sire, non si vuol dar credenza a vostra maestà, e neppure a me, ed io e voi potremmo esser benissimo carcerati in questa notte: io vado a provvedere a’ miei affari: addio.
      Spariti tutti i domestici, i sei forestieri, Candido e Martino, restarono in un profondo silenzio; infine, proruppe Candido: — Signori, questa è una burla singolare: perché farvi tutti re? per me io vi confesso che nè io, nè Martino non lo siamo.
      Il padrone di Cacambo prese allora a parlare gravemente, e disse in italiano: — Per me non è punto una burla. Io mi chiamo Acmet III; sono stato gran sultano per più anni; levai dal trono mio fratello; e mio nipote ne ha levato me; si tagliò la testa a’ miei visiri; io termino i miei giorni nel vecchio serraglio: mio nipote il gran sultano Mahmud mi permette di viaggiare qualche volta per mia salute, e son venuto a passare il carnevale a Venezia.
      Un altro uomo giovine, che era accanto ad Acmet, parlò dopo di lui, e disse: — Io mi chiamo Ivan; sono stato imperatore di tutte le Russie; fui detronizzato in cuna; mio padre e mia madre furono rinserrati; io allevato in prigione; qualche volta ho la permissione di viaggiare accompagnato da coloro che mi guardano, e son venuto a passare il carnevale a Venezia.


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Candido o L'ottimismo satirico
di Voltaire (François Marie Arouet
Editore Sonzogno Milano
1882 pagine 151

   





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