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      La nozione si trova divisa in due termini opposti che sono il subbietto e l'obbietto, lo spirito e la natura. Ciascuno di questi due termini per reintegrarsi e per realizzare in sè la nozione tutta quanta ha bisogno necessariamente dell'arte. Quindi proviene che i rapporti vicendevoli di entrambi sono finiti, relativi, e perciò mancanti di libertà. Così per es. nel conoscere, l'oggetto ha la sua nozione nel soggetto e si compisce in esso; talchè si può dire con ragione che l'oggetto ha la nozione fuori di sè. Al contrario, nel volere, il soggetto trova il suo compimento nell'oggetto, essendo che questo gli serve di termine per ottenere il suo fine. Nel conoscere dunque il termine stabile è l'oggetto ed il mutevole è il soggetto: nel volere il termine stabile è il soggetto, e quello che si muta è l'oggetto. In questi rapporti però vi è di comune una proprietà ed è che la nozione non si trova sviluppata pienamente in nessuno dei due termini presi separatamente. Questi rapporti si dicono finiti. Che se poi l'oggetto potesse avere la nozione in sè stesso, ovvero se il soggetto potesse realizzarsi per sè senza bisogno di un mezzo estrinseco ed oggettivo, allora cesserebbe la finità dei rapporti, e la nozione, realizzandosi liberamente senza bisogno di aiuto esterno, si troverebbe di essere in rapporto assoluto e indipendente con sè stessa. Ora ciò non si può verificare che nello spirito assoluto; dunque l'ideale della bellezza, che consiste appunto nella attuazione libera ed assoluta della nozione, non può trovarsi altrove che nello spirito.


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Saggio sulla filosofia dello spirito
di Marianna Florenzi Waddington
Editore Le Monnier Firenze
1867 pagine 130