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      In una camera abitava una madre con sette bambini, l'ultimo attaccato inutilmente all'arido petto, e cosi su su sino all'età di dodici anni, sei scheletri che mi ricordavano l'ossario di Solferino. E di che potevano nutrirsi? Il padre, poco abile al lavoro per recente tifo, guadagnava da un ottonaio una lira al giorno, e ne pagava nove mensuali per la camera. Una bambina filava, un'altra portava in braccio una piccina ammalata. Io soffriva a vederle, e a non poter nulla per esse. In tanta miseria parmi crudeltà fare distinzioni fra i miseri. In un'altra stanza c'era un vecchio del tutto inabile al lavoro, e, da quel che capii, mantenuto dalla carità degli altri inquilini della camera - ed erano sette, ed i letti erano tre!
      Dal qual fondaco io uscii coi miei compagni, ambedue Napoletani, oppressa dal senso della troppa rassegnazione di tutto e di tutti. La pazienza delle bambine ammalate ed affamate farebbe piangere qualunque madre, che sa quanto deve aver sofferto e patito una creatura di tre, quattro o cinque anni, prima di aver capito l'inutilità del lamento. E sostando nell'uscire, in mezzo di un gruppo di bambini, feci quasi inconsapevolmente i miei pronostici sull'avvenire di ciascheduno. Questo (parlo dei maschi, per ora), dissi fra me e me, poco soffrirà e poco farà soffrire: costerà tutto al più al Municipio quattro tavole per la cassa. Cotesto invece, con quegli occhi avidissimi, quel piglio audace, che guarda dentro una bottega di pane, non aspetta altro che il fornaio vòlti la testa per involare quell'appetitoso ciambellone coll'uovo di Pasqua nel centro.


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La miseria in Napoli
di Jessie White Mario
Editore Le Monnier Firenze
1877 pagine 277

   





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