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      In quelle Case di educazione vi s'insegnavano molte fra le discipline che a bennate giovani si addicono, in queste si coltivavano i lavori di cucito e di ricamo; ma oltre il leggere e lo scrivere, fatto senza riflettervi sopra, null'altro s'insegnava.
      Vi erano anche pubbliche Scuole gratuite per le fanciulle (nel 1868 erano 17); ma pure in queste le maestre occupandosi di un po' di lettura e scrittura, dei lavori donneschi e del catechismo romano, punto non svolgevano le facoltà mentali, nè davano quella istruzione più ampia dalle condizioni civili richiesta. L'istruzione era stimata come ornamento, non come bisogno di ogni persona, molto meno come mezzo di conoscere i proprii doveri ed aiuto ad adempirli. In molte famiglie poi a qualche monaca di casa era commessa la cura d'insegnare: la quale, oltrechè ignorante, avea la mente ed il cuore pieni di pregiudizii e superstizioni. In conseguenza si doveano prima di tutto persuadere le famiglie che le giovinette sui 15 o 20 anni potevano, senza rimanerne umiliate, frequentare la pubblica scuola, e conveniva far loro acquistare stima per l'ufficio di maestra. Anche l'Autorità religiosa consigliava ai genitori di non mandare le figliuole loro alla pubblica scuola, molto meno alla normale, sia perchè non era necessario che tante cose imparassero di lingua o di aritmetica, di storia, di geografia e di scienze naturali, sia per non apprendere, come dicevano, massime contrarie alla dottrina cattolica. A tutto questo deve aggiungersi la triste condizione della scuola per il luogo angusto e tanto cattivo, che qualche giornale in quel tempo scrisse avere l'aspetto più di cantina che di scuola.


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La miseria in Napoli
di Jessie White Mario
Editore Le Monnier Firenze
1877 pagine 277

   





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